La produzione culturale a Venezia – Gli eventi, i produttori, i fruitori
Considerazioni
Gabriella Belli, Fondazione Musei Civici di Venezia
L’undicesimo Rapporto sulla produzione culturale a Venezia, ben noto agli operatori del settore e pubblicato senza soluzione di continuità dai primi anni del Duemila grazie ad Agenda Venezia, e al sostegno della Fondazione Venezia 2000 e della Fondazione di Venezia, vede la luce anche quest’anno con l’analisi attenta e dettagliata di quanto il territorio ha realizzato nel campo del consumo e dell’offerta culturale nel corso del 2013.
Il Rapporto, che si amplia a ogni edizione non solo per la maggiore quantità di eventi censiti, ma anche per l’affinamento costante della sua capacità di raccolta e analisi dei dati, costituisce uno strumento straordinario di conoscenza di quella che oggi possiamo considerare l’economia su cui Venezia regge gran parte del suo assetto finanziario, e di riflesso anche di quello politico, storico e sociale.
Un’economia, che tra le molte naufragate nei decenni passati, si è rivelata la più resistente nel tempo e forse la più coerente e radicata nel luogo, capace di generare profitti a sostegno delle molteplici imprese che operano per l’arte o nel campo dell’arte, in grado di sostenere la fecondazione di start-up nell’ambito della creatività, di mantenere a buoni livelli l’occupazione delle risorse umane impiegate nel settore, di contribuire allo sviluppo di molte compagnie di servizi che affiancano le istituzioni pubbliche e private nel loro lavoro quotidiano, e molto altro ancora.
Un’accuratissima ricerca sta ovviamente alla base di questo importante report, che si può considerare come la cartina tornasole dello stato di salute dell’arte e delle sue attività “affiliate”, censite nel territorio lagunare e lette in una stretta relazione tra domanda e offerta.
Una relazione, quest’ultima, che per essere virtuosa dovrebbe sempre mettere in equilibrio i due fattori, cosa che oggi non accade spesso ma a cui è necessario nel prossimo futuro mirare, perché da questo equilibrio dipenderà il destino di Venezia e della sua terraferma, e per certi aspetti anche la comprensione di quale Venezia stiamo progettando per il futuro.
Infatti, non si può credere che il destino di questa città possa negli anni a venire svincolarsi dalla sua definizione, pur stereotipata ma certamente radicata nell’immaginario collettivo, di luogo monumentale pressoché unico al mondo e dunque possa ri-orientare il proprio sviluppo sociale ed economico prescindendo da quest’unicità, che è insieme forza e debolezza di un tessuto ambientale e architettonico magnifico ma fragilissimo, costantemente messo alla prova da numeri in crescente aumento di visitatori che provengono da un mondo che, dopo le Americhe e l’Europa, si è aperto negli anni recenti e molto rapidamente ai territori dell’Est asiatico.
Nessuno di noi è in grado insomma di pensare realisticamente che la città possa ricomporre il proprio tessuto produttivo artigianale di alta qualità, se non per delle singole eccellenze, possa riprendersi i luoghi del piccolo commercio, ora sostituiti dai grandi marchi, possa ritrovare spazi di aggregazione lontani dalla massa dei turisti, possa, in un mondo di altissima competizione scientifica, dove il ruolo del nostro Paese sembra essere sempre più marginale per la mancanza di investimenti, riconvertire del tutto la rotta (anche se molti sforzi in questa direzione già si fanno) della sua leadership nelle discipline per cui è stata una eccellenza, o, ancora, possa risanare i percorsi che l’attraversano ritrovando un ritmo e una qualità lenta della vita: possa in definitiva tornare a essere “quello che era”, anche questo un mito forse da sfatare.
Il tema è ovviamente un argomento “caldo”, che se da un lato affanna il dibattito politico, dall’altro si pone costantemente all’attenzione di quanti operano nel settore e che dunque assumono quotidianamente la responsabilità di progettare e programmare cultura.
Operatori, questi ultimi, che a guardare i numeri delle attività prodotte forse non sono del tutto esenti da una bulimia progettuale, ma che sono tutt’ora in grado di proporre eventi e iniziative che non hanno saturato l’offerta, e che anzi animano una attrattiva attività, assai variegata e diffusa in ogni campo, dall’arte di tutti i secoli, alla musica, al teatro, alla letteratura, al cinema etc., e che si rivolgono ad un pubblico numericamente sempre crescente, fino ad oggi capace di metabolizzare quanto la città quotidianamente offre.
Inutile sarebbe negare che tanta bellezza ha nutrito un sistema che, travalicando la sua vocazione prettamente umanistica, si è trasformato in un motore dell’economia locale, ora più che mai, nella crisi che morde, indispensabile alla vita della città.
Partendo da queste riflessioni è evidente che dobbiamo leggere i numeri del Rapporto anche e soprattutto come misura della qualità, dato quest’ultimo decisivo per ogni tipo di valutazione che guardi al futuro ( la competizione internazionale farà terra bruciata nei prossimi anni di tutto quanto non corrisponda a standard di qualità sia nel comparto turistico che in quello culturale) dove Venezia dovrà giocare una partita che la porti in un punto di non ritorno, verso strategie eco-sostenibili e verso una nuova e più efficace rete dei suoi servizi, verso una rivisitazione in chiave esclusivamente qualitativa della sua offerta culturale.
Proprio in questa direzione, pur nella deontologia asettica che caratterizza questo report basato su analisi comparative, statistiche e numeri, troviamo non poche note che riguardano la qualità dell’offerta culturale, cosa che ci permette anche di soppesare il respiro locale e internazionale di Venezia, ovvero di comprendere l’incidenza di risultato sul territorio, perché è di questo che noi operatori vogliamo saperne sempre di più, per una consapevole progettazione rispettosa della domanda e qualitativamente alta nella risposta.
E così di grande interesse appare l’apporto ciclico ma costante – chi nasce e chi muore, ma i numeri più’ o meno coincidono, sta scritto nell’edizione passata del Rapporto – di iniziative di piccola e media dimensione, che coagulano energie e intelligenze del territorio, certo anch’esse talvolta sensibili al turismo ma assai più importanti per la loro capacità di aggregazione e dunque di crescita culturale dei giovani o meno giovani abitanti o frequentatori di Venezia.
Scrivo ciò pensando alla differenza di missione che queste variegate attività hanno rispetto, per esempio, a quelle dei musei o di altri soggetti istituzionali il cui pubblico è per definizione “turistico” e dunque – come ben sappiamo – non lascia ma porta altrove, semmai l’avesse sperimentata, la sua esperienza culturale, cosa che salutiamo con grande soddisfazione ma che poca incidenza ha sulla crescita qualitativa della nostra società.
In conclusione potremmo dire che la cultura in questo nostro territorio ha sostituito vecchi saperi e vecchi mestieri ed è diventata essa stessa una professione nel vero senso della parola: produrre cultura è per Venezia una condizione esiziale, un nuovo mestiere che vorremmo però di alto profilo professionale e soprattutto di contenuti innovativi e assai competitivi con il mondo internazionale della ricerca scientifica, oggi più che mai necessaria anche a supporto della cultura umanistica.
Perché, a mio avviso, ciò che serve al formarsi di un pensiero forte, capace di tradursi positivamente e in profondità in reali cambiamenti della nostra società civile e capace di miglioramenti della vita individuale e collettiva, è lo scopo del nostro lavoro, se è vero che, come auspicabilmente dovrebbe essere scritto nella coscienza di chi opera in questo campo, l’esercizio critico e consapevole sul significato dei valori esistenziali e la padronanza di una conoscenza finalizzata all’interpretazione del nostro essere nel mondo e con il mondo, costituisce la ragione stessa della cultura.