Le porte di Venezia per il Giubileo
Cultura del monitoraggio e gestione delle emergenze
Ragionare oggi di governo dei flussi, gestione delle porte di ingresso a Venezia, preparazione dell’anno 2000, politiche di sviluppo economico e sociale compatibile con l’impegno di salvaguardia e valorizzazione del centro storico, significa riconoscere la complessa articolazione lungo la quale la città si va snodando.
Dalla necessità di preservare e migliorare alcune componenti della qualità della vita a Venezia (l’accessibilità e la mobilità in primo luogo) all’urgenza di un radicale ripensamento dei modi di rallentamento dell’esodo dal centro storico delle persone e delle attività economiche; dalla costruzione di un efficace modello di economia culturale che equilibri salvaguardia, innovazione e valorizzazione al recupero delle funzioni di normale manutenzione delle fondazioni, dei rii e di ogni altro spazio urbano.
Nel suo Dossier sugli accessi a Venezia del maggio 1993 Venezia 2000 scriveva:- l’arrivare costituisce un processo di identificazione a due vie: il viaggiatore identifica il luogo terminale del suo percorso, il luogo riconosce la specie di viaggiatore da accogliere -.
Forse è proprio questo che amplifica e lascia risuonare nel tempo più a lungo tanto il disagio di entrare quanto la magia del muoversi, questo reciproco riconoscimento tra il viaggiatore e la città non può essere abbandonato al processo inerziale, non governato, non gestito, non immaginato cui oggi sembra destinato.
L’avvento del Giubileo, l’arrivo dei pellegrini, la tensione con cui la città si prepara ad un nuovo millennio sta segnando una fase di passaggio verso un riconoscimento reciproco voluto e guidato e non solo subito.
Ma quali gli elementi salienti di questa transizione? Tra i molti i più significativi sembrano essere:
– lo sforzo crescente (seppur ancora insufficiente) che oggi è dedicato al miglioramento della capacità della città di leggere al proprio interno, di rafforzare la capacità progettuale e di indagare le dinamiche evolutive dal proprio assetto socio-economico;
– l’affermarsi di strumenti per le barriere mobili, con una attenzione specifica all’ostacolo programmatorio da sostituire a quello fisico e all’interconnessione di sottosistemi (alberghi, musei, manifestazioni culturali, chiese, ristoranti…) per recuperare nella costruzione di pacchetti di offerta integrati da parte degli operatori interni;
– l’accendersi di alcune lampadine che segnalano lo stato di pre-emergenza in cui versa la città rispetto al flusso straordinario dell’anno duemila e che si accompagnano al ritmo crescente con cui arrivano stimoli ad innovare, a trasformarsi, a scommettere su qualcosa, a lasciar uscire ciò che da troppo tempo sta incubando;
– l’affacciarsi del dibattito sull’impiego di sistemi di regolazione dei flussi non come puro fatto di regolazione fisica ma anche come leva gestionale dell’intera economia urbana.
Per ricondurre questi percorsi, che con diversa velocità e con diverso grado di convincimento la città sta esplorando, ad uno slogan si potrebbe dire che sta vincendo la cultura della manutenzione e del monitoraggio.
Per molti può sembrare una provocazione, specie per chi tende a mettere in evidenza la vocazione adattativa del sistema Venezia.
A privilegiare cioè i processi immunitari, che la città ha saputo e voluto difendere e che, come in ogni soggetto vivente, identificano tempestivamente un organismo invasore o una proteina estranea e permettono di produrre una risposta efficace.
È ciò che fa dire all’uomo della strada come all’osservatore più qualificato: – per Venezia il Giubileo non sarà un problema eccessivo, già oggi è così densa di turisti, di eventi e di problemi che saprà produrre comunque una risposta, magari gonfiando il polmone del semi-abusivismo o dell’interamente fuori regola -.
Ma è proprio su questa dimensione che, almeno così oggi sembra, ci si può giocare la sfida del prossimo futuro. La vocazione all’adattamento può condurre ad una soluzione istintiva di un problema ma può anche dare al sistema un’intelligenza sufficiente per imparare a risolvere altri problemi dello stesso tipo.
Su questo secondo percorso Venezia deve poter puntare, su un monitoraggio che lasci intelligenza e non su un monitoraggio per gestire l’emergenza.
Si tratta cioè di assumere come dato di scenario l’evento Giubileo che va organizzato e che, a meno di due anni dal suo inizio, non può essere l’occasione per interventi infrastrutturali i cui cantieri non siano già avviati ma deve essere l’occasione per costruire una piattaforma a cui nel tempo (post-2000 naturalmente) agganciare i diversi elementi di modernizzazione turistica, culturale, produttiva e sociale.
Il monitoraggio del modo con cui Venezia va preparandosi al Giubileo del 2000 così diventa la chiave di lettura per far emergere i fattori di emergenza, per discriminare i luoghi ed i momenti particolarmente delicati, per collocare la naturale progressione della città in un contesto eccezionale, per valorizzare le diverse esperienze nell’accesso a fondi nazionali ed internazionali, per imparare a conservare le informazioni.
Naturalmente il monitoraggio ha anche una faccia opposta rispetto a quella dell’ottimizzazione nella programmazione e nella gestione dei flussi: è anche strumento di verifica e di controllo, di continuo aggiornamento sullo stato dei cantieri, di rispetto degli impegni assunti, di continuata analisi di fabbisogni e di risposte, di valutazione dell’efficienza, dell’affidabilità e dell’efficacia dell’azione pubblica.
Rappresenta cioè anche un modo di far emergere eventuali ritardi, sovrapposizioni, incoerenze se non addirittura false promesse; è un rischio che appare necessario ma che deve rimanere ben presente e che deve essere ben gestito soprattutto sul piano della comunicazione.
Lavorare affinché si diffonda questa cultura di monitoraggio dei piani e delle opere significa così lavorare anche per allargare la sfera del controllo.
Ma in quali direzioni puntare il binocolo (o il microscopio a seconda dei punti di vista!) del monitoraggio? Come sperimentare e esplorare a Venezia affinché l’inevitabile processo adattativo della città non sia pura risposta istintiva ma lasci intelligenza alla città? E il monitoraggio a chi deve servire, quali soggetti deve coinvolgere, quali responsabilità deve analizzare? E cosa accomuna e cosa distingue il monitoraggio turistico dalla programmazione e gestione di flussi turistici?
Sono queste le principali domande a cui questo testo tenta di dare, seppur in modo parziale (più come provocazione che non come risultato definitivo!) delle risposte.
In primo luogo le direzioni su cui concentrare e le direzioni su cui sperimentare ed esplorare. Ciò che emergere dalla verifica condotta presso numerosi osservatori privilegiati a Venezia è che due sono le chiavi di lettura principali:
– la capacità di progettare l’intreccio delle porte di accesso in modo che siano integrate, cioè che ciascuna possa contribuire ad una ottimizzazione di sistema; dirlo è quasi ovvio, farlo è quasi impossibile;
– la capacità di progettare l’intreccio dei circuiti interni dell’accoglienza sia sotto il profilo della programmabilità del viaggio sia sotto quello della gestione dei flussi non programmati.
Lavorare su queste due chiavi di lettura in una logica di monitoraggio significa (lungo ciascuna delle due piste) cominciare a mettere in rete le informazioni, cercando di allargare la base informativa su eventi, flussi, disponibilità, criticità, opere, progetti.
E questo seguendo la via più logica:
– facendo il punto della situazione attuale in termini di offerta, di stato dell’integrazione informativa, di opportunità di ampliamento e modernizzazione in vista del 2000;
– verificando se effettivamente si sta radicando una possibilità di gestione dell’afflusso da e verso Venezia attraverso barriere mobili;
– segnalando i comportamenti di chi è oggi responsabile in termini di pre-emergenza rispetto alla scadenza giubilare.
Lungo questi tre assi sembra doversi si snodare l’intero programma di preparazione, analizzando l’esistente, segnalando le preoccupazioni del prepararsi al Giubileo e provocando dibattito sulla flessibilità necessaria.
Dove monitorare. Tre gli ambiti su cui è necessario lavorare:
– il quadro delle opere, dell’insieme cioè dei progetti che vorrebbero rappresentare il cambio di marcia nello sviluppo di Venezia, nell’edilizia residenziale come nelle reti e nelle infrastrutture; non perché direttamente coinvolti dai flussi turistici ma per limitare il danneggiamento reciproco;
– l’insieme dei servizi (dalla sanità allo smaltimento dei rifiuti, dalla protezione e sicurezza alla mobilità) perché i livelli di offerta potranno subire nell’emergenza brusche cadute qualitative di nuovo compromettendo i percorsi avviati di modernizzazione e miglioramento;
– l’offerta di comunicazione, verificando cioè il modo in cui la città sta comunicando il suo sforzo di fronteggiamento, ma anche il modo con cui durante il Giubileo verranno gestite le interfacce tra Venezia e i suoi visitatori.
Può sembrare una ripartizione banale (e come tutte le classificazioni in parte lo è!) ma in realtà si tratta di tre forme di monitoraggio molto diverse, che presuppongono approcci e metodologie molto distanti.
È una ripartizione che consente anche di individuare meglio soggetti e responsabilità che del monitoraggio dovrebbero far uso e che dovrebbero provocarne la diffusione ed il consolidamento.
Il giro di orizzonte compiuto in occasione della preparazione di questo testo offre un quadro per molti versi sconfortante. Non c’è cultura di accompagnamento del progredire delle opere e del miglioramento dei servizi. Non c’è consapevolezza delle urgenze che Venezia si prepara a vivere nei prossimi anni né dei luoghi in cui installare sensori adeguati ad una attività di monitoraggio. Non c’è sistema informativo avviato, pur nella convinzione diffusa che all’interno dell’attività di monitoraggio, la funzione ricoperta dalla base dati è fondamentale, poiché deve essere in grado di trasformare, a fini di conoscenza per la decisione, le informazioni elementari che derivano dalla programmazione e attuazione dei singoli interventi.
Siamo in una fase di allerta e la città non ne sembra consapevole, anche se il recente afflusso straordinario per il Carnevale ha rinfocolato vecchie polemiche e nuove proposte.
Un’emergenza da gestire ma che per gestire bisogna conoscere meglio.
Il primo punto di attenzione deve essere dedicato alla capacità della città di promuovere se stessa attraverso un parco progetti adeguato sia sul fronte delle priorità strategiche sia su quello delle tensioni interne.
Non può infatti essere ignorato che spesso non è infondata l’accusa di aver troppi progetti aperti e pochi cantieri avviati, di non riuscire cioè a trasformare in opera un’idea progettuale lasciando poi che il dibattito svanisca per auto-estinzione.
La solidità e la fecondità dell’apparato progettuale dovrà allora essere verificata proprio sulla base del senso e del segno della riconoscibilità della città, dei suoi luoghi e dei suoi sentimenti.
In primo luogo, sarà necessario un monitoraggio funzionale e strategico oltre che tecnico-economico. L’obiettivo centrale sarà il controllo complessivo della coerenza del modo, dei tempi e delle finalità con cui Venezia progetta il proprio futuro.
In secondo luogo, deve esser dedicata attenzione particolare al tema delle porte, che non possono essere considerate solo come frontiere nell’accesso a Venezia, o come luogo di concentrazione e ri-distribuzione dei flussi.
Non a caso infatti l’osservatorio francese che accompagna l’avvicinarsi del 2000 tra i grandi progetti culturali inserisce la riqualificazione ed il potenziamento dei terminali di accesso a Venezia. A testimoniare cioè che il ripensamento del modo con cui la città storica si apre ai visitatori è una delle grandi sfide del terzo millennio.
Vi è infine la gestione dell’emergenza. Impiantare oggi un sistema integrato di conoscenza e monitoraggio significa quanto meno attrezzarsi affinché l’emergenza Giubileo non si trasformi in un inutile danno per la città.
Lavorare per il monitoraggio dunque per accogliere meglio i flussi di visitatori ma anche per avviare la transizione della città al dopo 2000, che vedrà irrisolti molti nodi oggi evidenti e per migliorare il rapporto con chi a Venezia arriva e chi a Venezia vive.
È infatti certamente vero che il problema dell’accesso al centro storico è forse la principale preoccupazione della città e dei suoi operatori ed amministratori ma appare anche riduttivo concentrarsi solo su questo, in una città che, più di ogni altra, induce nel cuore di chi parte l’affermazione che fu già di Plotino: – usciamo solo per trovare la via di ritorno – ma che al tempo stesso vive ogni ritorno come emergenza sconosciuta.